lunedì 19 novembre 2007

Discorso del Presidente della Repubblica Francese Nicolas Sarkozy dinanzi al Parlamento europeo


Strasburgo, martedì 13 novembre 2007

Signor Presidente del Parlamento europeo,

Signore Deputate, Signori Deputati,

Signor Presidente della Commissione,

Signore e Signori

Vi ringrazio di avermi invitato a prendere la parola dinanzi a voi, in questo luogo dove batte il cuore democratico dell'Europa.

Vi ringrazio di darmi l'occasione di farlo ora, nel momento in cui, dopo essere sembrata sul punto di vacillare, l'Europa si desta e riparte in avanti.

Vi ringrazio di permettermi di rinnovare dinanzi a voi l'impegno europeo della Francia e di dirvi che il “no” alla Costituzione europea non era, per il popolo francese, l'espressione di un rifiuto dell'Europa, ma la richiesta di maggiore attenzione nei suoi confronti.

Sin dall'inizio, la costruzione europea è sorretta da una speranza. I popoli attendono ora, e ciò rappresenta una responsabilità per ciascuno di noi, che l'Europa sia all'altezza di tale speranza: una speranza di pace, una speranza di fratellanza, una speranza di progresso. Questa speranza è nata dalle grandi tragedie del XX secolo. Questa speranza è nata dal sangue e dalle lacrime versate da milioni di uomini, di donne e di bambini. Questa speranza è nata da una immensa sofferenza. Questa speranza è che mai più i popoli dell'Europa si dichiareranno guerra, che mai più si vedranno le imprese di conquista, di dominazione, di sterminio che hanno condotto i nostri Paesi sull'orlo dell'annientamento materiale e morale.

Se l'idea europea è potuta nascere, è perché un giorno, dei grandi Europei si sono tesi la mano attraverso le frontiere, frontiere per le quali tanti uomini erano morti, e che i popoli che avevano troppo sofferto hanno seguito, decidendo che il tempo dell'odio era finito, e che era ora necessaria l'amicizia.

Se la costruzione europea è divenuta possibile, è perché i nostri popoli, inorriditi da ciò che avevano fatto, non volendo più battersi, perché consapevoli che una nuova guerra sarebbe stata fatale, decisero di amarsi, di capirsi, di lavorare insieme per forgiare un destino comune.

Bisogna considerare la costruzione europea per ciò che è, un'esigenza morale, un'esigenza politica, una politica spirituale.

La costruzione europea costituisce l'espressione della volontà comune dei popoli dell'Europa che si riconoscono nei valori, che si riconoscono in una civiltà comune e che desiderano che questi valori e questa civiltà continuino a vivere.

L'Europa non può essere soltanto una macchina. L'Europa non può essere solo un macchina amministrativa. L'Europa non può essere soltanto un apparato giuridico, una macchina capace solo di emanare delle norme, dei regolamenti, delle direttive, un apparato capace soltanto di produrre procedure e regole.

L'Europa non può essere tenuta in disparte dalla vita reale, distante dai sentimenti e distante dalle passioni umane.

L'Europa non rappresenta una realtà e non ha nessuna possibilità di esistere per milioni di uomini e di donne, quali che siano le loro convinzioni, se non risulterà viva, capace di parlare ai loro cuori, se non costituirà la speranza di una vita e di un mondo migliori. O l'Europa rappresenterà un grande ideale, o l'Europa non esisterà più.

Quando i popoli dicono “no”, non bisogna pensare che i popoli abbiano torto, bisogna invece domandarsi perché essi abbiano detto “no”.

Personalmente, ho votato “si”, ma noi sappiamo tutti che il “no” francese ed il “no” olandese esprimevano molto più che un semplice rifiuto di un testo, per quanto importante potesse essere.

Noi sappiamo tutti che tale rifiuto era il segno più visibile di una profonda crisi di fiducia che non servirebbe a niente negare ed alla quale bisogna apportare delle risposte.

Tutti coloro che amano l'Europa devono considerare seriamente questo “no” di due tra i popoli fondatori, di due popoli che hanno sempre scelto l'Europa.

In questo “no” era celata un'angoscia, di milioni di uomini e di donne che avevano perso la speranza nell'Europa. Perché? Perché sentivano che l'Europa non li proteggeva più sufficientemente, perché sentivano che l'Europa era divenuta indifferente alle difficoltà proprie della loro vita. Che questi timori siano ingiustificati è un altro discorso. Sono convinto che milioni di donne e di uomini, quale che sia il loro Paese, condividono tali timori.

Questo “no” ha rappresentato un disastro. Ha fatto sprofondare l'Europa nella più grave crisi della sua storia. Ma questa crisi che poteva abbattere l'Europa, poteva anche risultarle salutare se avesse condotto tutti coloro che si sentivano indefettibilmente coinvolti dalla sua causa, a riflettere sul perché di una tale crisi.

Dalla creazione della Comunità Europea del Carbone e dell'Acciaio, ciò che è stato fatto in Europa ha del prodigioso.

Noi tutti siamo qui rappresentanti di popoli che si sono odiati, che hanno cercato di distruggersi, alcuni dei quali si sono combattuti durante molti secoli.

All'inizio, Paul Henri SPAAK, questo grande Europeo, primo presidente della prima assemblea parlamentare europea, ha detto queste frasi universali ed eterne: “Non bisogna dimenticare niente- poiché sarebbe una profanazione- ma noi abbiamo deciso di tentare la grande avventura che deve, in caso di riuscita, permetterci di salvare ciò che noi abbiamo di più caro e di più bello in comune.”.

E durante mezzo secolo, questa grande avventura è continuata, malgrado innumerevoli difficoltà.

Le assemblee parlamentari che si sono susseguite in quest'aula hanno rivestito un ruolo decisivo. Che mi sia permesso di rendere omaggio a tutti coloro che vi hanno preso parte, perché sono stati i rappresentanti dei cittadini dell'Europa, in tutta la loro diversità.

Tale diversità, sono convinto che non si debba temerla. Tale diversità, dobbiamo rispettarla come la nostra più grande ricchezza. Il dibattito è il sale della democrazia. La democrazia è rappresentata dalla pluralità dei punti di vista. E' il contrario di un sistema dove tutti siano obbligati à pensare la stessa cosa. Uccideremmo l'Europa se ci riunissimo soltanto intorno ad un pensiero unico dove colui che la pensa differentemente sarebbe visto come un cattivo Europeo. Non ci sono cattivi Europei, c'è l'Europa e noi dobbiamo condurre tutti in questa Europa.

Credo nel confronto. Credo nella discussione. E' la ragione per la quale ho sempre preferito la regola della maggioranza a quella dell'unanimità. E non è un impegno da poco da parte di un Presidente francese.

L'unanimità è il sistema che permette ad uno qualsiasi di imporre la propria legge a tutti gli altri. L'unanimità è la certezza che non si deciderà mai niente di grandioso, di audace, e che non si sarà mai capaci de prendere alcun rischio, poiché con l'unanimità ci si allinea a colui che desidera meno per l'Europa.

L'unanimità rappresenta l'impotenza. L'unanimità costituisce l'impossibilità di agire, l'impossibilità di ritornare sui propri passi. E' per tale motivo che ho sostenuto l'estensione della regola della maggioranza nel Trattato semplificato.

Credo nella democrazia. Credo che l'Europa debba essere più democratica possibile. E' per tale motivo che ho sempre creduto che non si rendesse un favore alla causa dell'Europa rifiutando il dibattito, soffocando le critiche, zittendo le divergenze.

Sono convinto che l'Europa debba comportare un dibattito ancora maggiore, più democrazia e soprattutto più politica.

Se l'Europa è riuscita ad uscire dall'impasse è perché in occasione del vertice di Bruxelles, i capi di Stato e di governo, coscienti di avere il destino dell'Europa nelle loro mani, hanno preso una decisione politica. A Bruxelles, quel giorno, la volontà politica di capi di Stato e di governo di differenti Paesi ha spazzato via tutti gli ostacoli che sembravano sino a quel momento insormontabili.

Cos'è la politica? E' stato il prendere atto del fallimento del progetto di Costituzione.

E' stato il proporre ai Francesi che avevano votato “no” di negoziare un trattato semplificato per sbloccare l'Europa e di far ratificare tale scelta dal Parlamento, così come l'avevo preannunciato in occasione della campagna elettorale per le presidenziali. Sono stato autorizzato dal popolo francese a far ratificare il trattato semplificato dal Parlamento. Aggiungo che mi sembra curioso dire che il Parlamento Europeo è il luogo dove batte il cuore democratico dell'Europa, e poi contestare che una ratifica parlamentare sia democratica; perché se il Parlamento Europeo rappresenta la democrazia per l'Europa, il Parlamento Francese rappresenta la democrazia per la Francia.

La politica, per quei Paesi e per quei parlamentari che avevano ratificato il progetto, e voglio in questa occasione rendere loro omaggio, ha significato accettare di riaprire i negoziati su un altro progetto meno ambizioso. Se abbiamo potuto sbloccare l'Europa, è perché i Paesi che avevano votato “no” hanno fatto uno sforzo; ma voglio omaggiare coloro tra di voi che credono nella Costituzione per aver accettato di discutere di un altro progetto. L'Europa è uscita dalla crisi perché c'è stato un movimento di doppia buona volontà, e il trattato semplificato rappresenta una vittoria dell'Europa stessa. E' una vittoria della coscienza europea che si esprime nella politica.

Ora, ed io mi assumo le mie responsabilità, l'errore sarebbe quello di credere che con il trattato semplificato l'Europa abbia risolto tutti i suoi problemi, che si possano dormire sonni tranquilli e che non vi siano più questioni da risolvere. Il trattato semplificato risolve la crisi istituzionale, ma non risolve la crisi politica e morale dell'Europa. Permette all'Europa di decide e di agire. Ma esso non indica la direzione e le finalità. Non dice cosa sarà l'Europa di domani e come contribuirà a migliorare la vita dei cittadini. Non restituisce argomenti a coloro che avevano smesso di credere nell'Europa perché ritrovino nuovamente fiducia in essa.

Il problema istituzionale è risolto. Restano ora da risolvere i problemi politici. Bisogna metterli in luce e discuterne senza tabù.

L'Europa ha scelto la democrazia, e in una democrazia bisogna poter discutere di tutto: della politica finanziaria, della politica commerciale, della politica monetaria, della politica industriale, della politica fiscale, di tutte le politiche, quali che siano, altrimenti non vale la pena affermare che si vuole un Europa democratica.

L'Europa ha scelto la democrazia, ed in una democrazia nessuna indipendenza può essere confusa con un'irresponsabilità totale. Nessuno può approfittare dell'indipendenza del proprio status per sentirsi dispensato dal rendere conto, dallo spiegarsi e dall'essere controllato.

In una democrazia, la responsabilità politica è un principio universale, essenziale, inevitabile.

Allora, nella democrazia europea, bisogna poter discutere delle finalità e degli obiettivi dell'Europa. Ho proposto che sia creato un comitato di saggi per riflettere sull'avvenire e che si possa poi discutere tutti insieme dei diversi possibili scenari dell'Europa. Perché vi sono diverse strade, ed io mi domando come potremo scegliere quella buona se ci rifiutiamo in tutti i modi di parlarne.

Nella democrazia europea bisogna poter discutere dell'identità europea e delle identità nazionali. Bisogna poter discutere del modo in cui l'Europa costruisce la sua propria identità e la difende. Bisogna poter discutere del modo in cui l'Europa protegge le identità nazionali che rappresentano una ricchezza per l'Europa.

Noi non dobbiamo aver paura delle identità. Cercare di preservare la propria identità non è una malattia. E' quando le identità si sentono minacciate, quando si sentono attaccate che si irritano e diventano poi pericolose perché aggressive.

I popoli europei attraversano una profonda crisi di identità. E' una crisi presente sia nelle Nazioni che nell'idea di civiltà che tutti gli europei hanno in comune e che rappresenta la vera unità dell'Europa. E' una crisi che è legata alla globalizzazione ed alla mercificazione del mondo.

Costruire inizialmente l'Europa attraverso l'economia, il carbone e l'acciaio, attraverso il commercio fu un colpo di genio dei padri fondatori. Ma la politica ha accumulato un eccessivo ritardo sull'economia e ancor più sulla cultura. E' un errore aver dimenticato l'Europa della cultura.

In un mondo minacciato dall'uniformazione, in un mondo dominato dalla tecnica, dove i valori del mercato tendono ad avere la meglio su tutti gli altri, l'Europa non può essere se stessa agli occhi di tutti gli uomini se non difende dei valori, quei valori di civiltà, quei valori spirituali, se non raccoglie tutte le proprie forze per difendere le diversità culturali. Cosa mai potremo difendere noi, mi domando, in termini di diversità se non preserveremo le nostre identità?

L'Europa deve fare in modo di non essere vista come una minaccia contro le identità ma come una protezione, come un mezzo per permettere loro di vivere anche nell'ordine morale. I diritti dell'uomo fanno parte dell'identità europea.

Dappertutto nel mondo, ogni volta che un essere umano è oppresso, che un uomo è perseguitato, che un bambino è martirizzato, che un popolo è sottomesso, l'Europa deve far sentire vicina la sua presenza. Perché l'Europa dei diritti dell'uomo deve rimanere fedele à se stessa.

Ed è compito dell'Europa portare la questione dei diritti dell'uomo in tutte le regioni del mondo.

Nella democrazia europea, aggiungo che tutti coloro che hanno vissuto l'esperienza di rinunciare alla difesa dei diritti dell'uomo a beneficio dei contratti, non hanno avuto i contratti ed hanno perso sul terreno dei valori. Nella democrazia europea, la parola protezione non deve essere esiliata. Se vogliamo che un giorno i popoli non siano esasperati dal sentirsi vittime della concorrenza sleale e dei dumping, se noi non vogliamo che questi stessi popoli reclamino il protezionismo e la fermezza, allora noi dobbiamo avere il coraggio di discutere di ciò che deve costituire una vera priorità a livello comunitario. Noi dobbiamo essere capaci di proteggerci allo stesso modo in cui gli altri si proteggono. Dobbiamo dotarci degli stessi strumenti che gli altri già hanno. Se le altre regioni del mondo hanno il diritto di difendersi contro i dumping, perché l'Europa dovrebbe subire ciò? Se tutti i Paesi hanno delle politiche di scambio, perché l'Europa non dovrebbe? Se le altre Nazioni possono riservare una parte dei loro mercati alle loro piccole e medie imprese, perché non l'Europa? Se altri Paesi mettono in opera delle politiche industriali, perché non l'Europa? Se altre Nazioni difendono i loro agricoltori, perché l'Europa dovrebbe rinunciare a difendere i suoi?

L'Europa non vuole il protezionismo, ma l'Europa deve reclamare la reciprocità.

L'Europa non vuole il protezionismo, ma l'Europa ha il dovere di assicurare la propria indipendenza energetica e la sua indipendenza alimentare.

L'Europa vuole essere un esempio nella lotta al riscaldamento climatico, ma l'Europa non può accettare la concorrenza sleale dei Paesi che non impongono alcun vincolo ecologico alle loro imprese.

L'Europa è legata alla concorrenza. Ma l'Europa non può essere l'unica al mondo a farne una religione. Ecco perché al vertice di Bruxelles, è stato deciso che la concorrenza rappresentava per l'Europa un mezzo e non un fine.

L'Europa ha fatto la scelta di un'economia di mercato e del capitalismo. Ma tale scelta non implica una libertà assoluta, e la deriva di un capitalismo finanziario che avvantaggi gli speculatori ed i beneficiari di rendite piuttosto che gli imprenditori ed i lavoratori.

Il capitalismo europeo è sempre stato un capitalismo di imprenditori, un capitalismo di produzione piuttosto che un capitalismo di speculazione e di rendite.

Si, io ne sono convinto, l'Europa deve giocare un ruolo nel necessario processo di moralizzazione del capitalismo finanziario. E ciò che è successo con la crisi dei subprime, dove qualche speculatore ha messo in causa la concorrenza mondiale, l'Europa non può accettarlo. Su tutti tali soggetti, noi abbiamo delle idee e dei punti di vista differenti.

Ma ciò non può costituire un buon motivo per non parlarne. Noi dobbiamo discuterne sino a quando non si sia riusciti ad avvicinare sufficientemente i nostri punti di vista per poter costruire una politica comune. Tutti questi soggetti saranno al centro delle priorità della Presidenza francese.

Vi sono altri temi:

  • La rifondazione della politica agricola comune.

  • Il problema della fiscalità ecologica.

  • Il problema delle energie rinnovabili e dell'economizzare l'energia.

  • La questione della difesa.

Come può l'Europa essere indipendente, ed avere un'influenza politica nel mondo, come l'Europa può costituire un fattore di pace e di equilibrio se non è capace essa stessa di assicurare la propria sicurezza?

Cosa significa per ciascuno di noi il nostro impegno europeo se non siamo capaci di discutere della costruzione di una difesa europea e della rinnovazione dell'alleanza atlantica?

Che significato ha il nostro impegno per l'Europa se ciascuno di noi non è capace di fare uno sforzo per la difesa di tutti?

Nel trattato della CECA e sino al trattato semplificato, i popoli europei hanno costruito una solidarietà. Essa si manifesta nella politica regionale, ma essa deve anche esprimersi nella difesa. Deve esprimersi in una politica europea dell'immigrazione, in un'Europa dove la circolazione è libera tra gli Stati membri. Tale politica non può essere se non una politica comune di immigrazione. Non è possibile appartenere allo spazio Schengen e regolarizzare senza informare gli altri. Poiché la regolarizzazione in un Paese ha un impatto su tutti gli altri Paesi del suddetto spazio Schengen.

Quando sono stato eletto Presidente della Repubblica, mi sono fissato come priorità di rimettere la Francia al centro della costruzione europea. Ho voluto che la Francia superasse i proprio dubbi impegnandosi difronte all'Europa. So perfettamente che la Francia non riuscirà ad avere la meglio su tutti i temi. Ma voglio che la Francia riprenda tutto lo spazio che le compete in Europa. Ho riannodato il dialogo con le istituzioni comunitarie e voglio ringraziare il Presidente Barroso della fiducia che ha permesso di stabilire tra la Francia e la Commissione Europea. Oramai, la politica della Francia è di lavorare in stretta collaborazione ed in completa fiducia con le istituzioni europee, il Parlamento europeo et la Commissione europea. Dispiegherò tutti i mezzi a mia disposizione perché ciascuno si riconosca in questa visione.

Tutti i miei mezzi perché l'Inghilterra ratifichi il Trattato semplificato, perché l'Europa ha bisogno dell'Inghilterra.

Tutti i miei mezzi per impegnarmi fortemente nel dialogo con i Paesi dell'Est che avevano talvolta il sentimento giustificato che non li avessimo ascoltati abbastanza. Se la storia ha condannato dei popoli europei ad aderire più tardi all'Europa ciò non vuol affatto dire che essi abbiano meno diritti. Hanno gli stessi diritti dei Paesi fondatori. Questo è lo spirito europeo.

E' ciò che ho fatto proponendo l'Unione del Mediterraneo senza escludere nessuno, continuando il lavoro fatto a Barcellona. Ma se il lavoro fatto a Barcellona fosse stato sufficiente, lo sapremmo. C'è bisogno, quindi, di una nuova ambizione. Ho voluto che la Francia costituisse nuovamente il motore dell'Europa, perché quando la Francia va bene, è tutte l'Europa che può approfittarne.

Nessuno in Europa può essere interessato ad un Francia debole, incapace di trovare in se stessa l'impulso della crescita. Nessuno in Europa ha interesse ad una Francia in declino, ad una Francia che dubiti di se stessa o ad una Francia che ha paura dell'avvenire.

Ho intrapreso una politica di riforme. Non è nell'interesse dell'Europa che queste riforme falliscano, perché è grazie a queste riforme che la Francia risanerà le finanze pubbliche, e rispetterà quindi i suoi impegni. Tali riforme sono state approvate dai Francesi. Ho detto loro tutto prima delle elezioni ed è per tale motivo che condurrò queste riforme sino in fondo. Niente potrà distrarmi dal mio obiettivo. E ciò è il miglior favore che la Francia può rendere all'Europa.

Signore deputate e Signori deputati,

In questa città di Strasburgo, tanto cara al cuore dei Francesi ed ormai indissolubilmente legata nello spirito di tutti gli Europei alla vostra Assemblea. In seno al vostro Parlamento, tanto capace di animare il dibattito democratico. Qui, in questa tribuna dove si espresse tante volte, rivolgo un pensiero a Simone Veil che fu nel 1979 il primo presidente donna della prima assemblea parlamentare europea eletta a suffragio universale diretto. Che mi sia permesso di renderle omaggio per il suo contributo alla causa europea e per il suo contributo alla causa delle donne.

Si è battuta perché fossero rispettati i loro diritti, perché fosse rispettata la loro dignità.

Il Vostro Parlamento è sempre stato fedele a tale comportamento.

Simone Veil diceva: “Quali che siano le nostre differenze di sensibilità, noi condividiamo la stessa volontà di realizzare una comunità fondata su un patrimonio comune ed un rispetto condiviso dei valori umani fondamentali. E' con questo spirito che vi invito ad abbordare fraternamente i compiti che ci aspettano”.

Faccio mie queste parole.

Tali parole costituiscono una sfida. In particolare, costituiscono quella sfida che i nostri concittadini europei si aspettano che l'Europa accetti.

Non abbiamo più tempo da perdere. L'Europa ne ha già perso tanto negli ultimi dieci anni, non abbiamo più tempo da perdere per far si che i popoli riconquistino la fiducia nell'Europa.

Potete contare sull'impegno europeo senza cedimenti da parte della Francia.

Vi ringrazio.

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