sabato 28 aprile 2007

Gli immigrati. Quale integrazione?


Gli scontri tra forze dell'ordine ed immigrati cinesi a Milano hanno riproposto con violenza il tema dell'immigrazione e dell'integrazione.
Si sono ascoltate e lette dichiarazioni cariche di aggressività e rabbia da parte di italiani che non hanno fatto altro che riproporre il solito
refrain: “questa è gente che non vuole imparare la nostra lingua, non vuole condividere i nostri usi e costumi, non vuole accettare quelli che sono i nostri valori, non vuole, in altre parole, integrarsi”.
Naturalmente, l'episodio è stato strumentalizzato da frange della destra xenofoba per dare risonanza alle bieche richieste razziste di cui si fanno portatrici.
Faccio fatica però a far scorrere parallelamente i temi dell'immigrazione e dell'integrazione; almeno sino a quando mi si obbliga a vedere il secondo come una condizione necessaria per una completa e sincera accettazione dello straniero.
Quando si afferma che gli immigrati non si integrano, si vuole generalmente intendere che essi preferiscono vivere racchiusi nella loro “comunità”, senza alcuno sforzo nel cercare di intrecciare relazioni con l'esterno, e quindi con la società del Paese che li ospita, senza rispetto per le usanze locali, attentando continuamente, almeno è questo quanto si lascia trasparire, ai “valori” che contraddistinguono il nostro Paese.
L'integrazione è un'operazione che richiede almeno due operatori. Quale debba essere il secondo, se non le persone che costituiscono la collettività, ossia noi Italiani, rimane alquanto incerto a sentire la maggioranza degli interpellati. Sembrerebbe quasi che passi avanti a favore dell'integrazione possano essere compiuti senza che da parte nostra vi sia una sincera, profonda e quotidiana apertura verso gli immigrati. Ciò vuol dire semplicemente smetterla di vedere ogni immigrato come un attentatore del nostro vivere quotidiano ed usurpatore della nostra identità e dei nostri valori.
Credo sia estremamente arduo discutere di “valori” fondanti per la piega profondamente soggettiva che spesso può risultarne. Ma risulta ancora più difficile parlarne al fine di identificare regole cui tutti gli immigrati debbano attenersi. Quelli che sono i nostri “valori”, è ciò che è trascritto nei nostri codici, nelle leggi della Repubblica. E' a quelli e solo quelli cui possiamo e dobbiamo appellarci. Ma questo è ugualmente vero tanto per gli stranieri che per gli italiani, senza alcuna differenza di sorta.
Lo Stato non può obbligare nessuno ad integrarsi.
Ciascuno di noi ha la libertà di condurre una vita che risponda alle proprie prerogative, nel più assoluto rispetto delle libertà altrui, senza che si sia in nessun modo obbligati a tessere legami che non si desidera coltivare. I limiti in tutti gli atteggiamenti atti al conseguimento del nostro benessere materiale e morale, sia esso contraddistinto da un'integrazione nella società più o meno accentuata o addirittura inesistente, sono fissati soltanto dalle leggi che la nostra Repubblica si è decisa e decide di darsi.
Cosa dovrebbero fare gli immigrati affinché si possa constatare la loro avvenuta “integrazione”? Qualcuno, tra coloro sempre pronti ad alzare la voce, potrebbe cortesemente spiegarci cosa voglia davvero dire “integrazione”, e come si possa essa misurare? Queste persone sono davvero certe, a loro volta, di essere integrate? Credono di esserlo semplicemente perché parlano una lingua comune o perché condividono, almeno in linea di principio, gli stessi valori? Non credo che tale metro possa davvero essere utilizzato. In Italia, esistono regioni dove grosse fette della popolazione non condividono né una lingua né valori comuni.
Il rispetto delle leggi è la sola cosa che lo Stato può e deve chiedere, senza alcuna deroga, tanto agli immigrati quanto ai nostri concittadini. Senza che si creino intere regioni, come accade oggigiorno, dove il rispetto delle leggi sia considerato un mero optional di cui sbarazzarsi a piacimento, e che risulti addirittura svantaggioso per chi decida di vivere nel pieno rispetto dello Stato.
La comunità cinese, così come ogni altra comunità straniera, ha tutto il diritto di vivere nella propria comunità, farla crescere e prosperare purché tutto ciò avvenga nel più assoluto rispetto delle leggi della Repubblica. Che si tratti del carico e dello scarico delle merci in strada, del rispetto delle norme igieniche e sanitarie, del rispetto delle norme condominiali.
Se lo Stato non può obbligare nessuno ad integrarsi, nondimeno ha l'interesse, ed in alcuni casi l'obbligo morale, di mettere a punto tutta una serie di strumenti capaci di rendere l'inserimento degli immigrati il più possibile semplice e meno traumatico. Come accade in vari Paesi, corsi di lingua potrebbero essere organizzati in modo da aiutare ad abbattere la barriera linguistica. Cosa quest'ultima che significa anche dare dei mezzi perché l'immigrato possa a sua volta proteggersi meglio. Nei quartieri cosiddetti a rischio, creare piccole strutture che costituiscano un tramite tra l'amministrazione centrale e le periferie e capaci di organizzare, soprattutto per i giovani, eventi che permettano un sereno e proficuo scambio culturale.
Tutto questo per persone che nella stragrande maggioranza dei casi decidono di abbandonare la propria terra natale non per spirito di avventura ma per sfuggire alla miseria.
In molte città sparse in tutto il mondo, si sono costituite, oramai da decenni, più o meno grandi comunità di immigrati che hanno contribuito allo sviluppo economico se non persino culturale della collettività tutta. Tutti, Italiani compresi, hanno dovuto affrontare la diffidenza ed il confronto, spesso violento, con realtà per loro assolutamente nuove ma che rappresentavano, almeno nel loro immaginario, la sola possibilità di sopravvivenza. Tutti sono stati accolti ed apostrofati con gli stessi epiteti ascoltati qualche giorno fa in occasione degli scontri di Milano. Eppure, sono riusciti nel corso dei decenni, faticosamente ed a prezzi altissimi, a conquistare la fiducia dei loro nuovi connazionali.
Il sereno vivere civile si basa sul rispetto delle leggi della Repubblica e sul confronto aperto e senza pregiudizi tra le persone, siano esse italiane o meno. Se davvero vogliamo che gli immigrati si integrino, qualunque cosa ciò possa voler dire, chiediamo loro, semplicemente ma con fermezza, di rispettare le leggi del nostro Stato, così come lo chiederemmo ad un qualsiasi altro cittadino italiano.

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