martedì 8 maggio 2007

Alcune domande sull'Europa al futuro presidente della Repubblica francese.


La vittoria del candidato della destra gaullista alle presidenziali francesi ha rilanciato in molte capitali europee e tra numerosi cittadini il dibattito sui futuri passi che il processo di unificazione europeo dovrà o potrà compiere.
Ricordiamo che il suddetto processo aveva subito una forte battuta di arresto proprio in seguito alla bocciatura, dopo referendum popolare, del trattato per l'adozione di una Costituzione per l'Europa da parte del popolo francese e successivamente olandese. Non va però dimenticato che nel frattempo, il trattato è stato regolarmente ratificato da 18 Paesi sia attraverso la via parlamentare che referendaria.
Il silenzio seguito alla bocciatura del trattato credo abbia segnato uno dei passaggi tra i più tristi ed irresponsabili che il processo di unificazione abbia conosciuto. E' sembrato che il soffio vitale che aveva accompagnato la stesura del trattato, seppur avvenuta tra mille difficoltà, incomprensioni, compromessi, fosse non solo scomparso, ma che avesse strappato e portato via con se il desiderio di procedere sulla via dell'integrazione politica. Certo, l'adozione del Trattato costituiva la finalizzazione di quegli sforzi; eppure, si è avuta l'impressione che una qualche paura si fosse impadronita improvvisamente dei capi di Stato e di governo: il processo di unificazione politica è sembrato essere scomparso, almeno ufficialmente, dalle agende politiche dei vari incontri, soprattutto per ciò che riguardava le possibili soluzioni alternative.
E' mancato un leader capace di affermare con forza ciò di cui si aveva urgentemente bisogno, e cioè del proseguimento, tra gruppi più o meno ristretti, sul cammino dell'unificazione politica. Forse è stato proprio in quei momenti che tutta la debolezza politica dell'Europa è venuta fuori: la mancanza di capacità nel definire un percorso alternativo per tenere saldamente incollati i “pezzi” che avevano deciso democraticamente di starci.
Non è certo la prima crisi di tale portata che l'Europa si trova ad affrontare e non sarà l'ultima. Però nel momento in cui un nuovo presidente francese è stato designato, una riflessione ed alcune domande bisogna che siano esternate, ed in particolare rivolte al futuro inquilino dell'Eliseo.
Nicolas Sarkozy si è sempre dichiarato un convinto europeista, a patto naturalmente che alcune sue idee fossero condivise da tutti gli altri.
Uno dei temi centrali della sua campagna elettorale, è stato il risveglio dell'identità nazionale repubblicana francese, con accenti che sono apparsi frequentemente tanto forti da far pensare ad un certo nazionalismo di ritorno.
Ancora la sera della proclamazione dei risultati, durante i bagni di folla che hanno accompagnato i suoi spostamenti ha sempre tenuto a sottolineare questa rinascita dell'identità francese, accolto da folle urlanti in delirio che cantavano a squarciagola la Marsigliese.
Storicamente parlando, la difesa di una forte identità nazionale, seppur animata dalle migliori intenzioni, ha sempre avuto un costo altissimo. Non mi spingo a quanto avvenuto nella prima metà del XX secolo, ma a ciò che ha costituito il percorso ad ostacoli, dalla nascita ai nostri giorni, della Comunità Europea prima e dell'Unione poi. Un percorso lungo il quale faticosamente si è riusciti con molti equilibrismi e fini compromessi a tenere insieme Paesi che sembravano fatti per essere gli uni lontani dagli altri.
Eppure, anno dopo anno, si era creduto di aver acquisito, forse troppo ottimisticamente, un certo acquis communautaire, un certo savoir faire proprio grazie alle battaglie diplomatiche che faticosamente avevano permesso la costruzione delle fondamenta della comune Casa europea.
Ho l'impressione, ma mi auguro di sbagliarmi, che l'elezione di Nicolas Sarkozy possa riportare le lancette dell'orologio della storia comunitaria di qualche anno indietro, dove l'interesse di parte costituiva l'unico argomento posto sul tavolo dei negoziati.
E sarà tanto più difficile chiedere ad alcuni Stati dell'Europa dell'est un ammorbidimento delle loro posizioni nazionalistiche se per primi i francesi non saranno in grado di comprendere che soltanto una condivisione delle rinunce potrà permettere un fecondo avanzamento sulla via di una costruzione dell'Europa politica.
La preoccupazione per la prossima attitudine della Francia nasce dalle dichiarazioni di Sarkozy di voler riprendere e modificare il trattato costituzionale al fine di sottoporlo nuovamente al vaglio del voto popolare.
Come ha affermato il principale estensore del trattato, presidente dell'assemblea costituente ed ex-presidente della Francia, Valéry Giscard d'Estaing, mettere mano al trattato è impensabile per l'ostilità che si riscontra negli altri Paesi che non hanno alcuna voglia di aprire una discussione che si preannuncia ancor prima di iniziare, lunga ed estenuante, e dove si rischia di riaprire i giochi su tutti i possibili fronti di discussione. Chi deciderebbe dove il trattato debba essere sforbiciato, o ritoccato? E se questo fosse accompagnato dalla richiesta di uno Stato di modificare una clausola sulla quale vi era già stata un'aspra battaglia, con la speranza che la maggioranza possa cambiare, chi potrà dirgli di no?
Ma soprattutto cosa diremo a quei cittadini che hanno approvato per via referendaria il trattato e che si trovano esposti nuovamente ad una discussione che potrebbe portare, ironia della sorte, alla richiesta di un nuovo voto. Non si rischia di indebolire l'istituto referendario e la fiducia dei cittadini nel governo europeo? Non ci si trova dinanzi ad una forma di grave egoismo nazionalistico nel momento in cui si domanda, in nome del rispetto del popolo sovrano, quello del proprio Paese naturalmente, che tutti gli altri Stati chiedano ai propri cittadini di esprimersi nuovamente su qualcosa già largamente accettato in un ampio numero di Nazioni? E se gli altri non accettassero? Bisognerebbe continuare in questo stato di stallo? Oppure qualcuno pensa di adottare nuovamente la politica della sedia vuota? Infine, per quanto imperfetto potesse essere, perché in occasione del referendum francese, mostrando la più classica delle ambiguità politiche, non si è fortemente appoggiato il progetto costituente? Eccetto il presidente Chirac, nessuno degli esponenti di primo piano della politica francese ha sostenuto con vigore il trattato. Per l'europeista Sarkozy, non credo che questa sia la migliore credenziale per presentarsi al prossimo Consiglio d'Europa.
L'Europa ha bisogno di rinnovarsi e di proseguire lungo il cammino delle riforme istituzionali per poter assumere un nuovo volto politico ed un nuovo assetto istituzionale. E se è impensabile modificare le attuali Istituzioni senza il consenso più largo possibile, ed eventualmente, l'unanimità, che allora qualcuno abbia il coraggio di alzarsi e provare a condurre per mano, attraverso gruppi ristretti e collaborazioni rafforzate, il nostro vecchio e caro continente.
Sono i cittadini a chiederlo.

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